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Essendo basata su criteri di ricerca scientifica, non deve soprendere che la Terapia Cognitivo Comportamentale sia in continua evoluzione.
I primi interventi erano basati fondamentalmente sulla desensibilizzazione sistematica grazie all'esposizione. In pratica le persone erano invitate ad affrontare in modo progressivo le situazioni temute, con una progressiva riduzione dell'ansia.
Questo metodo è efficace, ma piuttosto limitato, in quanto per molte persone risultava decisamente penoso affrontare alcune situazioni, con l'abbandono della terapia.
L'integrazione con gli strumenti cognitivi ha sicuramente offerto un'ampliamento dell'efficacia, grazie a un sistematico lavoro di ristrutturazione di alcune convinzioni irrealistiche che costituiscono evidenti ostacoli al proseguimento della esposizione. In pratica le persone sono invitate a descrivere i processi mentali (pensieri, emozioni e sensazioni) che precedono e accompagnano l'esposizione. In questo modo è possibile mettere in luce alcune convinzioni palesemente inaccurate e valutarle razionalmente. Le convinzioni tipiche sono la paura di morire, di aver un malore, di svenire, di perdere il controllo e di impazzire. Ciascuna di queste convinzioni viene valutata realisticamente, e in questo modo ci si attende una valutazione più realistica da parte del paziente e quindi una minore ansia.
Tuttavia anche questa strategia mostra alcuni limiti. Nello specifico, alcune persone, pur riconoscendo che le proprie convinzioni siano poco realistiche, continuano ad avvertire una intensa ansia, abbandonando a volte la terapia.
Più recentemente, con le terapie cognitive dette di terza generazione, e in particolare con l'Acceptance and Commitment Therapy, si è visto quanto sia importante porre al centro del lavoro terapeutico proprio l'intolleranza all'emozione di allarme.
Di cruciale importanza si è rivelato dunque il lavoro progressivo di defusione, cioè di un certo distanziamento dai propri pensieri e dalle proprie emozioni, in modo da ridurre il coinvolgimento e dunque l'intolleranza all'ansia.
Un'altra componente fondamentale degli approcci più recenti è l'accettazione ovvero l'apertura al proprio mondo interiore con una importante riduzione del rifiuto e del tentativo di controllo che a loro volta sono responsabili dell'incremento dell'ansia.
Gli approcci di ultima generazione si avvalgono anche della pratica della mindfulness che consente di coltivare contemporanemente presenza, apertura e defusione.
Naturalmente queste strategie non sostituiscono l'esposizione, ma la rendono molto meno penosa e, a differenza dei primissimi approcci, la legano ai veri interessi delle persone piuttosto che a una sfida artificiosa a posti e situazioni. L'esposizione diventa dunque un processo naturale nel momento in cui sono più evidenti le proprie esigenze e aumenta la volontà di non abbandonarle.
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Psichiatra, psicoterapeuta cognitivo comportamentale, e docente di terapie cognitive di terza generazione integrate con la mindfulness, fondatore dell'Istituto per la Applicazioni della Mindfulness alla psicoterapia e la medicina. Direttore scientifico dei Centri Anti Panico.